L’addio ai monti

Questo è il mio racconto pubblicato nell’antologia “Racconti Lombardi” (edizione 2020)

Era stanco di quella vita faticosa, arrivata alla soglia di un inverno in cui avrebbero dominato solo ricordi da dimenticare. Aveva da tempo smesso di rimpiangere gli atti mancati e le rose non colte, ma continuava a provare un sordo malessere, incontrollabile, come il disagio provato da chi vede qualcuno rincorrere farfalle sull’orlo di un precipizio, ma non riesce a intervenire.
Ed era adirato con quella morte ostile che si ostinava a scansarlo, che lo costringeva a sentirsi prigioniero di uno spazio che non aveva confini.

Anche il corpo era stanco, stanco e provato. Da anni non ne era più totalmente il padrone e lo sentiva crivellato dai colpi lasciati dalla malattia, così come la sua anima era crivellata dai vuoti lasciati dalla perdita di ogni speranza. Era un peso che lo opprimeva come un tetro mantello bagnato. Era così stanco di essere stanco…

Nella sua solitudine solo il lago, col vento che gli accarezzava il viso e gli gonfiava le vele, sembrava essergli amico.
Lo accoglieva sempre con amore, era testimone delle lacrime che a volte gli rigavano il viso per un istante prima che la brezza le asciugasse, ma non gli faceva mai provar vergogna per quella debolezza.

Quella domenica di metà agosto era iniziata con la solita festosità. Il sole riscaldava l’aria, i gitanti si stavano riversando sulle vie e sulle spiagge. Le bancarelle del mercatino costellavano già il lungolago e si scorgeva da lontano il grappolo dei palloncini colorati ancorato al selciato con un masso pesante. Gli ambulanti stavano seduti sotto i padiglioni in attesa dei turisti come i ragni con le loro prede.
I bar avevano srotolato le loro tende a strisce, che, abbassate, sembravano palpebre un po’ appesantite.
L’aria iniziava a essere pervasa dal profumo dolciastro dello zucchero filato, mescolato a quello più penetrante dei bomboloni fritti.
Il traghetto era arrivato: lui l’aveva osservato tristemente da lontano. Gli sembrava che avesse vomitato decine di persone felici e ne avesse ingurgitate altrettante. Un movimento, un viavai a cui gli piaceva prendere parte, tanto tempo prima. Un passato lontanissimo, quasi un’altra vita. Ma forse quella era stata la sua unica vera vita, perché ora si attardava solo in una lunga attesa, una specie di purgatorio.
La brezza soffiava piacevole, facendo danzare le bandiere sul molo come lunghe code di lucertole e sfiorandogli le guance incavate. Un tempo ne avrebbe goduto alzando il viso per offrirsi a quella a tenera carezza, ma oramai non se ne accorgeva più.

Giunse sulla riva lentamente, col solito passo faticoso. Racimolò le energie per armare la barca, ma non issò le vele; non aveva in programma di andare tanto lontano.
Accese il piccolo motore ausiliario e si allontanò dalla riva coi suoi bagnanti, le sdraio e gli ombrelloni, e i richiami che zampillavano nell’aria tranquilla. Lo spense e si lasciò cullare per qualche minuto dalla corrente.
Gli si avvicinarono alcune anatre in fila indiana: i genitori stavano portando i loro piccoli verso le prime esperienze della vita.

Il sole gli scaldava il corpo infermo e stanco e il viso che oramai non aveva più lacrime. La mente sembrava caritatevolmente svuotata da ogni preoccupazione e i pensieri si perdevano nei riflessi dell’acqua.
Il biglietto era pronto da tempo, in una bustina di plastica: lo depose a prua e lo fissò bene, per non farlo rubare dal vento, accanto alla vecchia canna da pesca dimenticata lì da non ricordava più quando.
Sollevò lo sguardo al cielo, alle montagne che sembravano braccia aperte su di lui, generosamente pronte ad accoglierlo, in un saluto offerto con la solita dolcezza. Un gabbiano gli volteggiò attorno, stridendo. Gli sembrò di percepirvi una parola: addio.
Fissò il sole e per un attimo ne fu abbagliato. Diventò cieco, ma poi, a poco a poco, ricomparvero mille bagliori. Parevano scintille: scintille nel cielo, scintille a fior d’acqua. Tutto danzava attorno a lui, sembrava tendergli la mano. Un dolce invito.

Allora fece quello per cui era venuto. Non fu neppure necessario che si voltasse verso la riva, ma mantenne un attimo di immobilità, quasi bloccato in una posa eterna come certi animali impagliati. Non aveva bisogno di volgersi: la vista della vitalità che si dipanava poco lontano non lo adescava più.

Si sedette sul bordo, sollevò le gambe per portarle all’esterno. Una volta lo faceva con agilità, quando era più giovane, ma ora dovette aiutarsi con le mani.
Poi si lasciò andare, si abbandonò piano piano giù dalla barca nell’acqua calma. Quell’acqua che lo aveva cullato nel ventre di sua madre, quell’acqua a cui era tornato ogni volta che cercava pace e serenità.
Sì, sapeva che finalmente l’avrebbe riconquistata, la serenità.

83 thoughts on “L’addio ai monti

      1. Grazie a te, non è mai facile mettersi in gioco e condividere un racconto. O almeno… A me fa una fifa! 😉 Davvero brava, piccoli gesti e dettagli e moti d’animo che tengono in sospeso. 👏👏👏

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      2. E’ un fatto capitato al lago, un ferragosto di qualche anno fa, su cui avevo scritto subito delle impressioni, tanto ne ero stata scossa. Quella barca vuota che galleggiava solitaria, mentre a riva ferveva la vita…

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    1. Brava Luisa!! Un calarsi nell’acqua, un abbandonarsi a chi sa accogliere con naturalezza, un ultimo inchino per salutare la vita e con essa i ricordi…
      Racconto molto bello

      Un abbraccio con affetto 🌹🌹🌹🌹🌹

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      1. … e poi non puoi non ripensarci ogni tanto… immagino… a me è successo dopo aver visto, da bambina, una signora parlare da sola. La signora gesticolava, anche, e sembrava che davvero si rivolgesse a qualcuno che solo lei vedeva… mia madre mi disse che, poverina, aveva perso sia il marito che il figlio, tragicamente e che da allora “uscì pazza per il dolore”.
        Sono passati 30 anni… a volte ci penso ancora…
        Lei mi insegnò ad avere paura del troppo amore, del troppo attaccamento, che avrebbe potuto comportare possibile follia nel caso di una perdita improvvisa della persona amata… e al contempo mi avvicinò fortemente a questa tematica… Spesso sono qui a rimuginare sul “troppo amore/troppo dolore e pazzia”.
        Ancora un lungo abbraccio Luisa 😊😘

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  1. Cara Luisa ho letto affascinata il tuo racconto. Hai saputo ben descrivere lo stato d’animo , il malessere di quest’ uomo malato. Bravissima e complimenti per la tua presenza in antologia, più che meritata. Un abbraccio. Isabella

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  2. Sei riuscita ad emozionarmi! E mi sono sentita presa dentro la tua scrittura intrisa di emozioni profonde. Raccontare di una vita che se ne va è molto difficile e tu l’hai fatto coni rispetto tenero e affettuoso! Bravissima davvero grazie

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    1. Grazie, Matilde. E’ la rielaborazione di emozioni che avevo messo per iscritto quando è accaduto il fatto, al lago, un ferragosto di qualche anno fa. Ne ero rimasta davvero scossa e volevo fare qualcosa per quell’uomo che aveva deciso che era troppo doloroso continuare a vivere

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  3. Tra la pioggia continua, la vittoria a Imola di un francese, il tuo racconto drammatico, oggi un sorriso domenicale lo offro a te e ai tuoi affezionati lettori.Luisa ha scritto una storia d’amor intrisa!

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    1. Hai ragione, ne avevo scritto subito, perché avevo bisogno di parlare di quel fatto che mi aveva colpita molto. Poi, l’ho ripreso e rielaborato per partecipare a un concorso di racconti sulla Lombardia.
      Ti ringrazio per le belle parole e ti mando un sorriso
      Luisa

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  4. Un racconto velato di dolore e malinconia. Un addio a tutto quello che il protagonista aveva più caro. La vitta sconfitta dal dolore, la malinconio per non rivedere i suoi monti.
    Complimenti. Un bel racconto dal ritmo lento che si addice belle ai pensieri del protagonista.

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  5. “Disagio provato…..ma non riesce a intervenire”
    Bellissimo concetto che nessuna immagine potrebbe descrivere.
    Molto bello tutto il racconto.
    Un caro abbraccio

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