L’elettricità (1): Volta e la pila

Il 20 marzo 1800 il grande chimico-fisico comasco Alessandro Volta (1745-1827) inviò al presidente della Royal Society, sir Joseph Banks, una lunga lettera in cui annunciò l’invenzione dell’ apparato elettromotore o apparato a colonna. Questo più tardi avrebbe preso il nome di pila derivante dal fatto che i dischi metallici che la facevano funzionare erano impilati uno sull’altro. Si trattava di dischi di zinco alternati a dischi di rame, con uno strato intermedio di cartone imbevuto di acqua salata (o resa acida) e rappresenta la prima osservazione del flusso di elettroni tra materiali di diverso potenziale elettrico.

Quella del 20 marzo 1800 non era una semplice lettera, ma un saggio scientifico su questo nuovo apparato chiamato dall’inventore organo elettrico artificiale per analogia a quello animale della torpedine.

Era il risultato di anni di studi e osservazioni precedenti, soprattutto sull’elettricità animale e sulle relative teorie di un altro italiano, Luigi Galvani, che sosteneva che gli animali fossero attraversati da un fluido elettrico notato durante i suoi esperimenti con le rane.
Alessandro Volta contestò tale ipotesi e intuì che non erano i muscoli della rana a dispensare la corrente che veniva invece generata nel contatto tra conduttori di specie diversa.
Fu così che i due scienziati inaugurarono un lungo e seguitissimo dibattito sull’origine e le forme dell’elettricità.

(1. continua)

_{Immagine: Wikimedia Commons, GuidoB Una pila voltaica in mostra al Tempio Voltiano di Como}

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