Le donne del mio Vate – ☾XXXIII☽ 🖋️

Cap. 6  – OLGA (3)

Molti sono i soprannomi che l’Imaginifico, con la sua vulcanica immaginazione,  usava  per la sua Olga, oltre al famoso “Venturina” per il colore dei suoi occhi, in riferimento alla pietra dai colori verdastri, imitati nel noto vetro di Murano.

La chiamava  “Rosa della mia guerra” quando rientrava a Venezia nelle pause tra un’impresa e l’altra e  anche Vidalita, perché abitava  in Palazzo Vidal. Li usava anche nelle sue lettere, in cui si riferiva a lei con diversi altri nomignoli, come per esempio “Piavoletta”, un termine dialettale che  vuol dire bambolina. Le scriveva in veneziano: “Mi te amo di cuor / o piavoletta cara”.

I toni delle lettere però non erano sempre leggeri e scherzosi, a volte diventavano molto più passionali, come quando le scriveva:
“Conosco il tuo corpo punto per punto. Lo misuro in sogno come si misura un dominio che non si vorrebbe cedere neppure dopo morte”

A volte le parlava dei suoi sogni. Una volta gliene descrisse uno, decisamente erotico  in cui il gatto Miramar era finito ”con una grazia incantevole” nel loro letto e  si era messo a  fiutare ”tutto col suo musino rosato” attirato dall’ ‘‘odore di una gattina invisibile”.

All’inizio non capii bene, poi mi accorsi che era una sorta di codice segreto con il quale si divertivano a scherzare sulle loro parti intime. Penso che questa complicità fosse presente anche in un’altra lettera in cui faceva allusione ai ‘‘manubri di ferro, maneggiati ieri sera con la forza terribile di Maciste da Venturina “. 

E quando accennavano al “vendemmiare” non si riferivano certo all’uva ma all’atto sessuale.

Come si potrebbe altrimenti interpretare una frase che ho letto in una delle sue lettere? Diceva: “Piccola, stanotte, rientrando nella stanza ancor calda di te, ho veduto che tu avevi ricoperto il letto disfatto, il nostro letto di oblìo e di ebbrezza, dove ogni sera mi sembra di vendemmiare la tua carne più saporosa e più solare di ogni grappolo. Non so perché, ho sentito nell’ombra la presenza pesante del tuo seno, come si sente che il frutto pende dal ramo, che la rosa s’inchina dal rosaio.”

A volte quando Gabriele era in missione, c’era sua figlia Renata  a far compagnia a  Olga. Tra loro era sorta un’amicizia che mi dava un po’ fastidio, mentre per fortuna il figlio Gabriellino la considerava solo un’amabile pausa nella vita del padre, un capriccio  che il Comandante assecondava più “per non perdere l’abitudine” e la riconosciuta qualifica di dongiovanni europeo.

Mentre eravamo a Venezia, in quella città quasi  svuotata perché gli ospiti stranieri, in tempo di guerra, erano rientrati in patria, e gli abitanti che ne avevano la possibilità si erano rifugiati sulla terraferma, ricevemmo dalla Francia una lettera di sollecitazione a sgomberare lo chalet di Arcachon, in cui Gabriél aveva lasciato le sue cose, in quanto gli eredi dell’ex proprietario erano intenzionati a venderlo.

Allora io venni inviata là con l’incarico di impacchettare i libri e gli altri averi. Un lungo lavoro alla fine del quale il tutto partì per Venezia, occupando ben otto vagoni ferroviari colmi di libri, mobili, suppellettili e preziosi documenti  accumulati durante il soggiorno in Guascogna.

La Casetta Rossa, che era davvero deliziosa e amata dal Vate anche perché in passato  era stata lo studio del grande Canova, quand’era giovane,  era decisamente minuscola. Lui soleva definirla “quasi una casa di bambola”, ma ora purtroppo era insufficiente a contenere tutto ciò che era arrivato da Arcachon, perciò  fummo costretti  a prendere in affitto il secondo piano di un palazzo nel sestiere di San Polo.

La Casetta Rossa, che era davvero deliziosa e amata dal Vate anche perché in passato era stata lo studio del grande Canova, quand’era giovane, era decisamente minuscola. Lui soleva definirla “quasi una casa di bambola”, ma ora purtroppo era insufficiente a contenere tutto ciò che era arrivato da Arcachon, perciò fummo costretti a prendere in affitto il secondo piano di un palazzo nel sestiere di San Polo.

Per fortuna mon Maitre disse subito che la nostra sistemazione in quel grande appartamento sarebbe stata provvisoria. Era situato al secondo piano di Palazzo Barbarigo detto della Terrazza, per il grande giardino pensile presente al primo piano nobile con vista sul Canal Grande e sul rio di San Polo.
L’appartamento infatti era scomodo, buio, freddo, inospitale, adatto solo a contenere tutto il suo mobilio, casse, bauli e suppellettili di cui i locali erano stracolmi. In poche parole, un umido deposito e niente più

Prima di lasciare la Casetta Rossa, però, Gabriele volle piantare nel piccolo giardino affacciato sul Canal Grande un melograno che ogni autunno possa dare i suoi frutti scarlatti a imperitura memoria del suo soggiorno là.

continua

There are many nicknames that the “Imaginifico”, I mean the  Inventor of images, used for his Olga, in addition to the famous “Venturina” for the colour of her eyes, referring to the stone with greenish hues, imitated in the well-known Murano glass.

He called her “Rose of my war” when he returned to Venice in the breaks between one military enterprise and another and also Vidalita, because she lived in Palazzo Vidal. He used them in his letters too, where he gave her several other nicknames, such as “Piavoletta”, a dialectal term meaning little doll. He wrote to her in Venetian something like : “I love you with all my heart / dear piavoletta”.

However, his letters were not always flippant and playful, sometimes they became much more passionate, as when he wrote:
“I know your body inch by inch. I can measure it in a dream as one measures a domain that one wouldn’t like to give up even after death”

Sometimes he would talk to her about his dreams. Once he described an erotic one in which the cat Miramar had ended up “with enchanting grace” in their bed and had begun to sniff “everything with his rosy snout” attracted by the “smell of an invisible Pussy “.
At first I didn’t understand well, then I realized it was a sort of secret code used to joke about their private parts. I think this mutual understanding was also present in another letter in which he alluded to the ”iron handles, fingered with the terrific force of Hercules by Venturina last night “.
And when he said he liked ” harvesting grapes” he certainly wasn’t referring to picking grapes but to making love.
How else could one interpret a sentence I read in one of his letters?
“My little baby girl, last night, returning to the room still warm with you, I saw that you had made the bed, our bed of oblivion and intoxication, where every evening I grape harvest your flesh, which is more savoury and sunnier than any bunch. I don’t know why, but I felt the heavy presence of your breast in the shadows, as one feels that the fruit is hanging from the branch, that the rose is bending from the bush.”

Sometimes when Gabriele was on a mission, his daughter Renata was there to keep Olga company. A friendship had arisen between the two which upset me a bit. Luckily his son Gabriellino considered her just a pleasant break in his status of European Don Juan.

While we were in Venice, in that city which was almost emptied because the foreign guests had returned home during wartime and the inhabitants who had the opportunity had taken refuge on the mainland, we received a letter. It came from France and urged us to clear the chalet of Arcachon, where Gabriél had left his belongings, as the heirs of the former owner were going to sell it.
So I was sent there with the task of packing all the books and other objects. It was a lengthy task at the end of which everything was sent to Venice, in eight railway carriages. They were full of books, furniture, fittings and precious documents accumulated during his stay in Gascony.

The Casetta Rossa was truly delightful and loved by the poet also because in the past it had been the study of the great sculptor Canova, when he was young, but it was too tiny. He used to say it looked “almost like a doll’s house“, but unfortunately it was now inadequate to contain all what had arrived from Arcachon. Therefore, we were forced to rent the second floor of a building in the San Polo district.

Luckily mon Maître immediately said that our accommodation in that large apartment would be temporary. It was located on the second floor of Palazzo Barbarigo known as “della Terrazza”, due to its large a large terrace overlooking the Grand Canal and the San Polo stream, used as a roof garden.
Unfortunately, our flat was dark, cold, inhospitable, only suitable for containing all his furniture, crates, trunks and furnishings, which filled the rooms. In short, I think it was a damp warehouse and nothing more.

Before leaving the Casetta Rossa, however, Gabriele decided to plant a pomegranate in the small garden, so that every autumn it could bear its scarlet fruits as an imperishable memory of his stay there.

to be continued